Le Brigate della solidarietà: “Così distribuiamo cibo ai terremotati più deboli”
| Published on La Stampa | 11 August 2017 |
Reportage un anno dopo il terremoto, tra gli attivisti di Amatrice: “Aiutiamo chi non se n’è andato”
Sulla strada principale che collega la frazione di San Cipriano al centro di Amatrice, una freccia indica l’ingresso per lo spaccio popolare. All’interno di due container in lamiera, Agnese, venticinque anni e una laurea in architettura, mette ordine tra gli scaffali delle dispense alimentari. Prima di iniziare il dottorato, questa ragazza toscana ha scelto di trascorrere qui le sue vacanze, come volontaria delle “Brigate di solidarietà attiva”. «Noi telefoniamo alle persone e chiediamo quali sono le loro necessità, poi organizziamo il pacco e partiamo con una staffetta», spiega sorridente.
I volontari provengono da tutta Italia. La loro missione è sostenere le fasce più deboli tra i cittadini terremotati. Grazie a donazioni di associazioni, centri sociali e privati, le Brigate di solidarietà attiva raccolgono beni di prima necessità che vengono poi distribuiti gratuitamente alle vittime del sisma, attraverso staffette alimentari casa per casa. Nei magazzini non c’è solo cibo, ma anche lavatrici, ferri da stiro, mangimi per gli animali. Durante la fase di prima emergenza i volontari sono riusciti a raccogliere più di ottanta bancali di merce per ciascun magazzino. «Abbiamo cercato di coprire tutto il territorio, anche i paesini di montagna difficilmente raggiungibili», chiarisce Verouska, coordinatrice delle attività nella zona dei comuni del cratere colpiti dai sismi.
Il furgone e le derrate
Dall’ingresso del container, si affaccia un’anziana signora. Si chiama Clara e ha perso la sua casa con la seconda scossa di terremoto del 26 ottobre scorso. Oggi vive in una casetta donata da un’associazione nella frazione di Ferrazza, a circa quattro chilometri da Amatrice, insieme al marito novantenne. «Sono fortunata perché mio marito guida», dice la donna, «ma tutti gli altri anziani come fanno a muoversi? Senza i volontari, non so come avrebbero fatto». Dalla notte del 24 agosto scorso – quando un terremoto di magnitudo 6.0 ha devastato l’area lungo la Valle del Tronto – sono più di ottocento i volontari che si sono alternati per essere sempre presenti nei due campi base ad Amatrice e a Norcia, accanto a chi ha scelto di restare, rifiutando la proposta della Protezione Civile di trasferimento negli hotel sulla costa. Anche durante le grandi nevicate di questo inverno, che hanno colpito le zone terremotate, gli attivisti sono rimasti a fianco della popolazione, con il loro furgone bianco e la stella rossa disegnata su un lato, spalando la neve e distribuendo derrate.
L’obiettivo delle Brigate di solidarietà attiva, tuttavia, non è solo quello di assistere la popolazione, ma di informarla, aiutandola a coordinarsi in comitati di cittadinanza locali per trovare soluzioni che rispondano alle reali esigenze del territorio e che vadano oltre l’emergenza. Lo sportello legale gratuito ne è un esempio. Grazie alla collaborazione con gli avvocati dell’associazione Alterego-Fabbrica dei diritti di Roma, è stato realizzato un vademecum legale, con il nome originale “Oissa”, distribuito gratuitamente ai terremotati, per spiegare i cavilli burocratici della ricostruzione e rendere comprensibile a tutti quali sono i propri diritti.
La filiera antisismica
«Le nostre pratiche hanno come obiettivo l’auto organizzazione attraverso il supporto materiale e umano affinché le persone possano tornare a camminare con le proprie gambe», conclude Verouska. Oltre all’auto organizzazione e alla solidarietà c’è, però, l’aspetto economico. In giro per frazioni e borghi, le Brigate di solidarietà attiva hanno incontrato numerosi contadini e allevatori messi in ginocchio dal terremoto e dalla burocrazia post sisma. Per far ripartire in tempi brevi queste aziende agricole, i volontari hanno ideato la filiera antisismica: un progetto che mette in contatto i piccoli produttori con i vari clienti, distribuendo i loro prodotti artigianali in tutta Italia. In questo modo, si mantengono gli agricoltori sul posto e si protegge la produzione locale, gettando le basi per un’economia alternativa e virtuosa.
Immerso negli Appennini, a quota mille metri, in una frazione di Amatrice, sorge il tenace caseificio della famiglia Nibbi. Amelia, giovane trentenne che gestisce l’azienda agricola biologica, ha scelto di restare ma di rinunciare ai contributi dello Stato, perché «la burocrazia uccide i piccoli imprenditori e se avessi preso i soldi non sarei mai ripartita così in fretta», racconta. Grazie alla filiera antisismica, Amelia è riuscita a vendere pasta, vino, patate e yogurt e a settembre ricomincerà, a pieno ritmo, la produzione casearia. «Noi non possiamo pensare di gestire il territorio come abbiamo fatto negli ultimi anni. È nostro dovere restare e proteggere quello che ci hanno lasciato in eredità, ripartendo dalla solidarietà tra i cittadini».