TOP
sara manisera baghdad poesia iraq donne

Guarire Baghdad con le parole

| Published on D Repubblica | 8 May 2018 |

Al tavolino di un bar si incontrano scrittrici coraggiose: insegnano tolleranza e uguaglianza con i loro romanzi e racconti

L’appuntamento con le poetesse è fissato un tiepido pomeriggio d’inizio marzo. Il luogo dell’incontro è il Ridha Alwan, un caffè culturale, nel cuore di Karrada, quartiere commerciale ed etnicamente misto di Baghdad, bersaglio di numerosi attentati da parte dell’organizzazione dello Stato islamico. Mobili intarsiati in legno, libri antichi esposti sulle mensole, oltre alle immagini di poeti e artisti iracheni che adornano le pareti, creano un ambiente famigliare e nostalgico che ricorda i “vecchi tempi”. Aperto dagli anni sessanta, il Ridha Alwan è stato il primo a servire il caffè torrefatto e a divenire uno spazio di fermento della scena politica e culturale di Baghdad. Ancora oggi è uno dei pochi luoghi che attrae intellettuali, artisti e poetesse. Si presentano libri, organizzano dibattiti e letture collettive. Solo che oggi gli incontri culturali sono programmati su Facebook. “Ci siamo conosciute sui social media tre anni fa”, spiega Lamiaa Alnasiry, trent’anni e un piercing sul naso, “in seguito, abbiamo iniziato delle collaborazioni e delle pubblicazioni collettive”. Seduta accanto a Lamiaa c’è Bida Ahmad. È una donna di mezza età, gioviale e appariscente. Ha le palpebre truccate, indossa un hijab [velo tradizionale islamico, nda] color arancio e una giacca pitonata. Prima di iniziare a parlare si accende una sigaretta. “Questo paese mi soffoca”, dice, gesticolando, “sono sposata ma non ho mai trovato il vero amore; ecco perché ho iniziato a scrivere, per rifugiarmi in storie d’amore create dalla mia immaginazione”, racconta, “il vero problema in Iraq è la pressione sociale che ti toglie la libertà”, aggiunge.

Lamiaa la osserva in silenzio, annuendo con la testa e aggrottando le nere e folte sopracciglia. “Se fossi in prigione avrei più libertà, perché qui bisogna sempre seguire ciò che la comunità vuole, soprattutto in amore”, afferma Lamiaa, “Per me, non c’è nessun problema se due donne o due uomini si amano ma se dicessi alla mia famiglia che amo un’altra donna, probabilmente mi ucciderebbero”.

La raccolta di Alnasiry “Mi è stato chiesto di quale sangue sono” [I was asked which blood I am, سؤلت من اي دماء انا, nda] è proprio un inno all’amore omossessuale e al desiderio struggente e appassionato tra due donne. Ogni pagina è un alternarsi di strofe tormentate e romantiche in cui l’autrice rompe ogni tabù e sfida le comunità confessionali più conservatrici. “Non m’interessa cosa dicano. Voglio vivere come una persona e una poetessa libera di scrivere ciò che desidera”, dice, sbattendo un pugno sul tavolo.

Da secoli nel mondo arabo esiste una forte tradizione letteraria e poetica. Al-Mutanabbi Street, la famosa e antica strada del libro di Baghdad, affollata di librerie e bancarelle in una delle più stupefacenti cornici architettoniche risalenti all’epoca Abbaside, è oggi una delle strade più trafficate della capitale. Con la sua offerta quasi inesauribile di libri, Al Mutanabbi Street è stata testimone contemporanea dei cambiamenti politici e culturali in corso in Mesopotamia. Se negli anni cinquanta, la maggior parte dei libri disponibili erano scritti marxisti, questi furono in seguito sostituiti da opere nazionalistiche panarabe. Per più di trent’anni, i commercianti potevano vendere solo libri che glorificavano Saddam Hussein e l’ideologia baathista. Oggi, sulle bancarelle di questa biblioteca a cielo aperto, al lato sinistro del fiume Tigri, si trovano libri di ogni genere, incluso quello di Tamara Shaker. La copertina del suo primo libro “Il racconto di Nay” [Nay’s tale, حكاية ناي, nda] ritrae una donna con i seni nudi, coperti da un uccello in fin di vita. E’ la storia di una ragazza violentata dal secondo marito della madre. “Qual è lo scopo di scrivere?”, si domanda questa giovane ragazza musulmana, dai capelli lunghi e lisci, color corvino e uno sguardo penetrante. “Abbiamo bisogno di raccontare determinate storie per cambiare la mentalità della società. Se una persona legge questo tipo di racconti, potrebbe cambiare idea e non giudicare una donna vittima di violenze”. Anche il suo ultimo romanzo “Dolore sopito: cinque storie” [Sleeping pain: five stories, وجع غاف وكتاب حكاية ناي, nda] prova a sfidare la mentalità conservatrice e patriarcale, affrontando in ogni capitolo alcuni dei temi tabù per la società irachena come la pedofilia, il divorzio, il delitto d’onore, il matrimonio forzato e i costumi tribali difficili da sradicare.

Si respira fermento culturale in città e la recente Fiera Internazionale del libro, la prima dopo l’apparente sconfitta di Da’ish [acronimo di al-Dawlah al-islamyyiah fji al-Iraq wa al-Sham” cioè “Lo Stato islamico nell’Iraq e nel Levante”, nda] dimostra, ancora una volta, la resilienza degli iracheni e della sua società civile. Le elezioni parlamentari del 12 maggio, tuttavia, rischiano di far sprofondare l’Iraq in nuove violenze settarie tra le comunità etniche e confessionali.

Nawal Ali Alazzawi, giornalista e scrittrice, ci raggiunge in ritardo all’appuntamento al Ridha Alwan. Entra elegante, con un malloppo di giornali tra le mani. Lavora per i quotidiani iracheni Al-Zaman e Al-Haqiqa e di recente ha aperto una casa editrice. “Non abbiamo nessun supporto dal governo su tutto ciò che riguarda l’arte e la cultura”, sottolinea Alazzawi. “Il mio primo articolo riguardava le proteste delle donne contro la situazione dell’Iraq. S’intitolava ‘grido femminile’. I politici, in questi anni, hanno usato la religione in modo strumentale per manipolare la mentalità delle persone. Ciò ha causato l’esclusione della donna dallo spazio pubblico. Il mio desiderio è invece quello di far sentire la voce delle donne, perché abbiamo molti talenti femminili nascosti che devono essere ascoltati e mostrati. Solo così possiamo cambiare la società irachena. O almeno provarci”.

Foto di Arianna Pagani